Le preoccupazioni delle associazioni dei senza fissa dimora: per evitare il contagio ingresso vietato ai volontari e servizi sospesi, come l’uso delle docce.
“Il
governo dice di restare a casa: ma io che non ho una casa cosa devo
fare?”.
È quello che si chiedono le centinaia di persone senza fissa dimora
che in questi giorni devono affrontare nuove difficoltà anche a
causa del coronavirus. Di notte stanno nei dormitori, dove non sempre
è semplice garantire le distanze di sicurezza, di
giorno vagano per la città.
La Federazione
Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (Fio.psd) ha lanciato
un appello “#iostoacasa ma… chi non ha una casa?” per
affrontare la questione. Si chiede di tenere aperti dormitori e
centri che accolgono le persone senza fissa dimora e non diminuire,
anzi aumentare, i servizi a loro dedicati. Eppure molte
attività, almeno a Torino, sono già state sospese:
dall’ingresso dei volontari, che spesso aiutano nel momento del
pasto, ad alcuni servizi diurni che comprendono anche l’utilizzo
delle docce. Sempre per rispetto delle regole imposte per evitare il
contagio da coronavirus.
A Torino alcuni si sono attrezzati come possono: il Sermig ha attivato misure come la consegna di gel igienizzanti all’ingresso e ha chiesto alle donne con bambini di restare all’interno delle strutture anche di giorno, per evitare l’uscita e l’ingresso quotidiani, più difficili da gestire. Non è possibile però, considerati i numeri, fare lo stesso con gli uomini accolti, che sono un centinaio: e che quindi ogni mattina devono nuovamente uscire dalla struttura e stare in strada. Mancano luoghi pubblici dove fermarsi e restare qualche ora a scaldarsi e sono sospesi quasi ovunque i servizi diurni. Anche il centro del Gruppo Abele ha ricevuto dal comune gel igienizzanti da distribuire a chi entra nel dormitorio, chiudendo le attività del Drop House diurno. Le mascherine per gli operatori, come ovunque, scarseggiano: ce ne sono ancora ma non dureranno a lungo. “Ma i dormitori, come il nostro in via Pacini, non chiudono – spiega Patrizia Ghiani, coordinatrice area povertà e inclusione sociale del Gruppo Abele, evidenziando la necessità di continuare a offrire un servizio alle persone più fragili – Non chiudono perché non possono chiudere, anche se la preoccupazione tra noi operatori è palpabile. Si rispettano le 10 regole da seguire per ridurre i rischi del contagio ma non vuol dire che non ci sentiamo esposti”.
Ieri il Centro Andrea ha distribuito circa 150 sacchetti con i pasti , acqua , pane e frutta. Si ringraziano la Croce Rossa, ed in particolare Matteo, Roberto, Michela, Stella e gli altri volontari presenti anche in questo periodo tanto difficile: Agron, Ulisse, Tommy, Giampietro, Hermann, Maurizio, Mario.
